Molto spesso, quando incontro nel mio studio i pazienti, mi trovo di fronte a persone in difficoltà con il tema del dolore, non solo per quanto riguarda la sua trattazione o elaborazione, ma anche per il fatto di poterne parlare, di poter dar voce alla sofferenza, sia attraverso modalità non verbali, che verbali. Tra le motivazioni che portano gli individui a non parlare del dolore le più comuni sono:

  • ci si vergogna
  • si ha paura di appesantire l’altro
  • si vuole “proteggere” l’altro dal nostro dolore, perchè non lo si vuole far stare male o si ha la sensazione che l’altro non possa reggere il nostro malessere
  • non si sa come “si fa a parlare del dolore o della sofferenza”

Quest’ultima motivazione può sembrare a qualcuno insensata, eppure è molto diffusa. Mi spiego meglio: spesso mi confronto con persone che non sono attrezzate a parlare del dolore o della sofferenza, perchè  non ne hanno mai fatto esperienza, in particolar modo all’interno della propria famiglia. Sono numerose le famiglie in cui vige il mito familiare del “bisogna essere forti” che porta le persone a non esprimere le proprie sofferenze, sin da bambini. Si cresce quindi con l’idea che ognuno debba trattare per sé, individualmente e intimamente il dolore, non condividendolo neppure in famiglia.

Perchè è importante parlare del dolore

La narrazione del dolore ha le sue trame nascoste, il proprio mito che ne disvela il significato profondo, lo spazio espressivo dove viene messa in scena la sua rappresentazione. Il luogo di questo dolore non è l’anima individuale, dove si soffre da soli e in silenzio, ma quel filo invisibile che lega l’individuo al mondo, il figlio al padre, la famiglia alle generazioni, le generazioni alla Storia. Eppure talvolta il monologo del dolore, confinato negli spazi angusti del corpo, non riesce a farsi dialogo, non può dire di sé all’altro da sé, non può diventare un racconto. È allora che la malattia, la sofferenza e la morte non sono più presenze vive da interrogare, ma assenze incolmabili, che possono essere descritte solamente con il linguaggio dei sintomi. (G. Ruggiero in Narrate genti le vostre storie, p. 112, ed Liguori, 2005).

Questo passo sopra citato ben spiega l’importanza di poter parlare, dal voce al proprio dolore. Come scrive Shakespeare in Macbeth “dà voce alla sofferenza, il dolore che non parla imprigiona il cuore e lo fa schiantare“. Infatti, tutto ciò che non può essere verbalizzato, tende ad esprimersi attraverso il corpo, ciò che non può essere mentalizzato si esprime attraverso la la via somatica. Invece, ciò che è fondamentale, è che ogni individuo e ogni famiglia faccia condivida, racconti il proprio dolore. In uno spazio terapeutico è possibile costruire, nella relazione, il dialogo del dolore, che può essere verbalizzato e contenuto. Il paziente, in questo modo, può “sentirsi solo con il suo dolore”, ma, nello stesso tempo, in contatto con le emozioni degli altri. (G. Ruggiero in Narrate genti le vostre storie, p. 117, ed Liguori, 2005).

Una terapia alla ricerca del senso del dolore

L’obiettivo fondamentale di un percorso terapeutico, laddove vi sia una storia di dolore, è quella di ricercarne il senso del dolore. Un percorso di terapia consente di creare tra l’individuo e gli eventi che lo circondano, uno spazio riflessivo, uno spazio in cui il dolore, attraverso la sua narrazione, può prendere forma, diventando parte della storia dell’individuo e della sua famiglia e non un sentimento cristallizzato che blocca il ciclo di vita. La sfida dell’esperienza terapeutica, come sostiene Giuseppe Ruggiero, è quella di “guardare in faccia il dolore, chiedere perchè e, al tempo stesso, sopportare il vuoto di risposte”. Il dolore può guadagnare un senso solo se non viene negato nel suo non senso; il dolore può essere accettato solo quando si rinuncia a spiegarlo, interpretarlo. La riposta al dolore, la sua possibilità di elaborarlo, si crea nella relazione, nella possibilità di condividerlo. (G. Ruggiero in Narrate genti le vostre storie, p. 118, ed Liguori, 2005).

Tratto da Narrate genti le vostre storie, A. Dinacci, ed Liguori, 2005

Se come individuo, o famiglia, state attraversando un periodo di dolore o sofferenza o se sentite che c’è difficoltà nell’espressione di quest’ultima, potete contattarmi per una prima consulenza. Ricevo a: