La dimensione generativa nella fecondazione eterologa

La fecondazione eterologa è legale solo da poco nel nostro paese e ancora culturalmente poco accettata; spesso giudicata in maniera negativa, come una scelta egoistica, a differenza del percorso di adozione, connotato più positivamente dalla società. La scelta di intraprendere il percorso di fecondazione eterologa viene presa a seguito di un tempo lungo e doloroso, dopo anni di fallimento alla ricerca di un bambino mai arrivato.

Nel ciclo di vita della famiglia, dopo la formazione e il consolidamento della relazione di coppia, generalmente, i partner, iniziano ad immaginare e desiderare un figlio. Il desiderio di un figlio nasce, quindi, dalla condivisione di una progettualità: i partner si mettono in relazione ad un terzo, condividendo una dimensione generativa. Questa dimensione è presente fin dall’inizio della relazione di coppia. Dapprima si esplica con la costruzione del noi, ossia di uno spazio condiviso tra i partner differente dall’Io e dal Tu. Successivamente, una volta consolidato il noi, la coppia ha bisogno di un altro progetto generativo che, spesso si identifica con un figlio, ma può assumere anche altre forme. (Per approfondire leggi qui). (Riccio, 2021, 72, 73).

Dal lutto alla scelta del percorso di fecondazione eterologa

La coppia sterile o infertile vede messa in discussione la propria dimensione generativa e l’identità maschile e femminile.  Ricordo che per coppia sterile si intende una coppia dove uno o entrambi i partner sono affetti da una condizione fisica che non rende possibile la procreazione, mentre è infertile quando non è stata in grado di concepire e procreare dopo un anno o più di rapporti non protetti. La coppia, quindi, non solo si trova ad affrontare un evento imprevisto del ciclo di vita, ma qualcosa di più profondo che mina le fondamenta stesse della sua esistenza. Quando una coppia sceglie di affrontare un percorso di fecondazione eterologa, deve fare i conti con un altro evento luttuoso rappresentato dalla connessione genetica ovvero del lutto biologico (Riccio, 2021, 74).

La fecondazione eterologa permette di concepire un figlio senza il proprio patrimonio genetico, con il dono di gameti da parte di un donatore o una donatrice. In questo caso, è presente il fantasma della diversità del gamete e il donatore viene investito dalle coppie di numerose fantasie. Per i partner, è più semplice accogliere ed integrare nel proprio progetto generativo la dimensione della diversità , se sono riusciti ad elaborare la ferita causata dall’infertilità. Se il “bisogno di un figlio” non si trasforma in “desiderio di un figlio“, la coppia farà fatica ad accogliere il bambino in uno scambio affettivo reciproco e ad integrare la donazione del gamete come parte della propria storia (Riccio, 2021, 76).

I genitori, il donatore e la polarità dono-debito

((Riccio, 2021, 78, 79, 80, 81, 82).

La questione più delicata rispetto alla fecondazione eterologa è la paura dei genitori di non sentirsi genitori legittimi del proprio bambino. Essere genitori, tuttavia, non dipende dalla presenza o meno del proprio patrimonio genetico nel figlio, ma dall’assunzione della responsabilità che l’essere genitore comporta. Ciò che distingue il diventare genitori dall’atto di procreare ha a che fare con la natura identitaria e relazionale della genitorialità, più che con la componente biologica. Quello che deve fare un genitore è un processo di adozione psichica del figlio, ossia la sua scelta, considerandolo come una persona diversa da noi e diverso dal figlio immaginario, sognato o fantasticato. Solo riconoscendo la sua alterità è possibile accompagnare un figlio nel processo di crescita.

È per questo motivo che il donatore, pur rappresentando una figura importante da un punto di vista relazionale, non può definirsi un genitore. Il fatto che una persona doni i propri gameti non significa essere madre o padre. La genitorialità è, infatti, un processo complesso che presuppone un insieme di funzioni dinamiche e relazionali che si evolvono insieme allo sviluppo del bambino: per essere genitori ci vuole la relazione!

La donazione dei gameti implica che la coppia si confronti con il tema del dono. Questo concetto suscita nei partner, sul piano simbolico e relazionale, fantasie che riguardano la polarità dono e debito. La donazione di gameti stabilisce una relazione tra i donatore e la coppia ricevente e sancisce la formazione di un legame, legame dove prevale il piano simbolico-immaginative in quanto, in Italia, non è possibile né per la coppia né per il bambino risalire al donatore e viceversa. L’ambivalenza insita nel binomio dono-debito si esprime attraverso l’oscillare della coppia tra il senso di gratitudine per la possibilità avuta e la paura che il donatore diventi una presenza ingombrante per la famiglia. Il fatto è che il dono è un aspetto che non può essere in nessun modo negato perché è parte della storia di quella famiglia. Solo i genitori che riescono a distinguere con chiarezza il genitore dal donatore, potranno sentirsi liberi di accogliere la relazione donante come parte integrante della propria storia familiare e sentire il figlio come appartenente alla famiglia. Inoltre, la costruzione della genitorialità non biologica implica la legittimazione dei partner come genitori di quel bambino. Se la coppia non ha affrontato appieno il lutto di non poter concepire spontaneamente e, in seguito, quello di non poter concepire un figlio con il proprio patrimonio genetico, non riuscirà a riprogettarsi serenamente in un percorso di genitorialità e la differenza di patrimonio genetico influirà in maniera significativa su questa ferita. La nascita del bambino non basta a cicatrizzare la ferita, anche se, con il tempo, diventerà meno dolorosa. Potrebbe, però, riaprirsi in alcuni momenti del ciclo vitale del bambino, come l’adolescenza o nel momento di svincolo del giovane adulto. Infine, la ferita si riaprirà nel momento in cui la coppia dovrà decidere se narrare o meno al proprio figlio la modalità con la quale è stato concepito. Nello spazio occupato dal dolore, non può, però, esserci spazio per la libertà di cui il bambino necessita. Se il lutto viene negato, difficilmente i genitori riusciranno a narrare le origini al proprio bambino.  È però vero che conoscere la modalità con la quale è stato concepito consente al bambino di rappresentare la propria storia e narrarla, elemento centrale per la costruzione della propria identità.

Tratto da Le diversità di origine, M. Riccio

Se, come coppia, state affrontando delle difficoltà nel concepire un bambino o avete intrapreso il percorso di fecondazione eterologa un percorso di supporto alla costruzione della genitorialità può essere utile. Ricevo a: